La vita vissuta
I
Chi sono io se non un grande sogno oscuro di faccia al Sogno
Se non oscura grande angustia di faccia all’Angustia
Chi sono io se non quell’albero imponderabile dentro la notte
Ferma con quegli appigli che risalgono al fondo più triste della terra?…
II
Da che cosa vengo io se non dall’eterna camminata di un’ombra
Che in presenza delle forti chiarezze si distrugge
Ma che offre nella sua traccia indelebile riposo al volto del mistero
E per forma ha la prodigiosa tenebra informe?
III
Quale destino è il mio se non d’assistere al mio Destino
Fiume che sono in cerca del mare che mi impaura
Anima che sono clamando il disfacimento
Carne che sono nell’intimo inutile della preghiera?
IV
Oh che cos’è in me la donna se non la Tomba
Il segno bianco della rotta del mio pellegrinare
Colei dalle braccia dove cammino verso la morte
Ma ho vita soltanto da quelle braccia?
V
Che cos’è il mio Amore ahimé! se non la luce impassibile
Se non la stella fissa nell’oceano di malinconia
Quale cosa mi dice se non che ogni parola è vana
Quando non riposa nel seno tragico dell’abisso?
VI
Che cos’è il mio Amore? se non il mio desiderio illuminato
Il mio infinito desiderio d’essere ciò che sono oltre me stesso
Il mio eterno partire nella mia enorme volontà di restare
Pellegrino, pellegrino di un istante pellegrino di tutti gli istanti?
VII
A chi rispondo se non a echi, a singhiozzi, a lamenti,
Di voci che muoiono nell’intimo del mio piacere e del mio tedio
A chi parlo se non a moltitudini di simboli erranti
Dalla tragedia effimera che nessuno spirito immagina?
VIII
Qual è il mio ideale se non di fare del cielo poderoso la Lingua
Della nube la parola immortale piena del suo segreto
E delirantemente dal fondo dell’inferno proclamarlo
In Poesia che si espande come sole o come pioggia?
IX
Che cos’è il mio ideale se non il Supremo Impossibile,
Colui che è, e Lui solo, mio affanno e mio anelito,
Che cos’è Lui in me se non il mio desiderio di incontrarlo
E incontrandolo la mia paura di non riconoscerlo?
X
Che cosa sono se non Lui, Iddio nel patimento
Il tremore impercettibile nella voce portentosa del vento
Il battito invisibile d’un cuore nella piana desolata …
Che cosa sono se non Me stesso di faccia a me?
(Ungaretti, 1969: 18-20 e Moraes, 1981: 167 e 169)
* * *
A vida vivida
I
Quem sou eu senão um grande sonho obscuro em face do Sonho
Senão uma grande angústia obscura em face da Angústia
Quem sou eu senão a imponderável árvore dentro da noite imóvel
E cujas presas remontam ao mais triste fundo da terra?…
II
De que venho senão da eterna caminhada duma sombra
Que se destrói à presença das fortes claridades
Mas em cujo rastro indelével repousa a face do mistério
E cuja forma é a prodigiosa treva informe?
III
Que destino é o meu senão o de assistir ao meu Destino
Rio que sou em busca do mar que me apavora
Alma que sou clamando o desfalecimento
Carne que sou no âmago inútil da prece?
IV
O que é a mulher em mim senão o Túmulo
O branco marco da minha rota peregrina
Aquela em cujos braços vou caminhando para a morte
Mas em cujos braços somente tenho vida?
V
O que é o meu Amor, ai de mim! senão a luz impassível
Senão a estrela parada num oceano de melancolia
O que me diz ele senão que é vã toda palavra
Que não repousa no seio trágico do abismo?
VI
O que é o meu Amor? senão o meu desejo iluminado
O meu infinito desejo de ser o que sou acima de mim mesmo
O meu eterno partir na minha vontade enorme de ficar
Peregrino, peregrino de um instante, peregrino de todos os instantes?
VII
A quem respondo senão a ecos, a soluços, a lamentos
De vozes que morrem no âmago do meu prazer ou meu tédio
A quem falo senão a multidões de símbolos errantes
Cuja tragédia efêmera nenhum espírito imagina?
VIII
Qual é o meu ideal senão fazer do céu poderoso a Língua
Da nuvem a Palavra imortal cheia de segredo
E do fundo do inferno delirantemente proclamá-lo
Em poesia que se derrame como sol ou como chuva?
IX
O que é o meu ideal senão o Supremo Impossível
Aquele que é, só Ele, o meu cuidado e o meu anelo
O que é Ele em mim senão o meu desejo de encontrá-lo
E O encontrando, o meu medo de não o reconhecer?
X
O que sou eu senão Ele, o Deus em sofrimento
O tremor imperceptível na voz portentosa do vento
O bater invisível de um coração no descampado…
O que sou eu senão Eu Mesmo em face de mim?
(Moraes, 1981: 166 e 168)
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Nel 1997, la Biblioteca Nazionale di Roma ha acquistato alcuni manoscritti e dattiloscritti di Ungaretti intitolati Poesia del Brasile (segnatura: VITT. EM. 1656) in cui è anche compresa la nostra poesia con alcune correzioni autografe che vedremo nelle varianti.
Originale vs traduzione (1969a)
Tradurre la poesia significa – come scrive Sansone (1991: cap. I) – rispettare l’ars combinatoria dell’originale che si struttura, come la traduzione, sui due assi saussuriani: sintagmatico e paradigmatico. L’asse sintagmatico, in poesia, non è solo l’ordine delle parole, ma la conservazione del ritmo con le sue battute e le sue pause. L’asse paradigmatico è quello della sinonimia, ma anche qui gioca un ruolo altrettando importante la melodia.
Mettendo a confronto la poesia di V de M e la traduzione – per ora ci soffermeremo ulla traduzione definitiva del 1969, ritornando in un secondo tempo sulle varianti –, vediamo che GU rispetta.